" ... Il libro della vita comincia con un uomo e una donna in un giardino e finisce con .... l'Apocalisse"

Oscar Wilde

mercoledì 26 gennaio 2011

Un nuovo inizio ... è possibile???


La rottura dei legami familiari è una delle prove più difficili da affrontare; in quei momenti è decisivo il modo con cui marito e moglie contrattano la fine della loro unione, vivono gli inevitabili conflitti, esprimono le loro differenti emozioni, elaborano il passato e prospettano il futuro.

Dal canto loro i figli valutano la situazione di rimbalzo e i loro sentimenti riflettono gran parte quelli degli adulti, anche se non completamente, perché ognuno ha una sua storia e una propria personalità in base alle quali filtra gli avvenimenti.

Una variabile determinante è poi costituita dal tempo che può curvarsi indietro nel rimpianto o nel rimorso, fermarsi nell’ossessivo controllo del presente, oppure puntare verso il futuro con la speranza che non tutto sia andato perduto e che sia sempre possibile ricominciare. In fondo è finito un mondo, NON TUTTO il mondo!

Certo prima o poi le cose si aggiustano e la vita continua. Più facilmente quando le persone coinvolte riescono a moderare le emozioni e ad assumere uno sguardo obiettivo sugli eventi. Ma anche quando tutto sembra risolto sul piano degli atteggiamenti e dei comportamenti razionali, nell’inconscio sovente rimangono tensioni e conflitti latenti di cui è difficile cogliere gli effetti a breve e lunga durata. Nella nostra mente operano diverse temporalità e, accanto alle scadenze cronologiche imposte dalla società, si svolgono processi più lenti che non possono essere ridotti a piacimento.

Per ricomporre davvero la propria storia occorre dare tempo al dolore, ma la fretta degli altri spesso impone a chi soffre di risolvere al più presto la questione per non inquinare l’efficienza delle sue prestazioni. L’obbligo di non attardarsi a dar conto delle proprie reali condizioni fisiche e psichiche quando ci si incontra fa parte integrante del galateo sociale : “come stai???” .. “bene, tutto bene!!” mentre magari dentro si è a pezzi. E molte volte è proprio l’insieme delle norme non dette, delle pressioni che inducono ad una silenziosa discrezione a far sì che si scavi un solco sempre più profondo tra la maschera e il volto. Dietro una facciata accuratamente imbellettata, dietro una vita ad arte truccata, si cela spesso una identità male assemblata che, non avendo avuto tempo di ricomporsi, si disperde in atteggiamenti contraddittori che alla fine rendono ciascuno estraneo perfino a se stesso.

Non è poi casuale che al frammentarsi dell’individuo corrisponda il frammentarsi della famiglia, perché mondo interno e mondo esterno si corrispondono e le perturbazioni si riflettono reciprocamente. La percentuale delle separazioni e dei divorzi è in costante aumento e non, come un tempo, più al Nord che al Sud, nelle grandi città invece che in provincia, ma in tutto il Paese. L’idea che il matrimonio sia un contratto a termine è ormai entrata nella mentalità delle generazioni più giovani, cresciute in famiglie separate o comunque accanto a coetanei, figli di genitori divisi o divorziati.

Se un tempo infrangere il matrimonio destava scandalo e le persone coinvolte si vergognavano della propria anomalia, ora sembra diventato un evento normale e come tale viene trattato da parenti , dagli amici e nella scuola. Anzi la situazione si è capovolta al punto che, in certi casi, sono i figli di famiglie tradizionali a vergognarsi della loro condizione e a invidiare i coetanei che stanno invece sperimentando rapporti di parentela più aperti e avventurosi.

La “normalizzazione” di tutto questo tuttavia, mentre da una parte favorisce le dinamiche di riadattamento, dall’altra rischia di giustificare atteggiamenti di indifferenza e disimpegno che abbandonano a se stesse famiglie in crisi. In una società, come, la nostra, sempre più contraddistinta dall’individualismo, dalla precarietà e dalla fretta e oltremodo difficile trovare negli altri accoglienza e comprensione. Spesso i bambini, la minoranza silenziosa, inviano segnali di malessere e richieste di aiuto, ma non sempre questi messaggi vengono intercettati e decifrati e ancora più raramente trovano risposte adeguate. Di contro, i comportamenti a rischio e le condotte asociali degli adolescenti vengono automaticamente ricondotte, senza contestualizzare e indagarne i nessi, alle separazioni genitoriali, come se queste fossero sempre e comunque un male.

L’enfasi sule conseguenze distrae poi dalla prevenzione che potrebbe essere ad esempio un’educazione alle relazioni familiari e una formazione alla gestione dei conflitti; per cui la separazione appare, sempre più frequentemente, come l’unica soluzione possibile alle incomprensioni coniugali.

La distanza tra matrimonio o convivenza e scioglimento del legame tende a ridursi progressivamente anche perché le difficoltà nella separazione vengono sottovalutate. Se “così fan tutti” non c’è problema, basta decidere e non voltarsi più indietro.

Certo, separarsi bene è possibile, come ho più volte ribadito nei post precedenti, ma non subito, né senza prima aver elaborati le immancabili emozioni negative di abbandono, di colpa, di rabbia e di vendetta che corredano ogni lacerazione degli affetti.

La “separazione amichevole” è più una formula di bon ton più che una realtà, soprattutto quando ci sono di mezzo i figli. In questi casi la serenità è una conquista, non un punto di partenza, e spesso un eccesso di controllo razionale tradisce una prematura “anestesia delle emozioni”.

Il dolore non è solo una conseguenza negativa del trauma ma anche un segnale di allarme che chiama a raccolta le energie, attivando processi di riparazione, ricomposizione e riorganizzazione della vita.

Il coraggio di portare fino in fondo il “pathos” della separazione coniugale affrontando la “consapevolezza del dolore” aiuta a ricomporre la propria identità e a recuperare risorse che sembravano perdute dando realmente avvio alla possibilità di un “nuovo inizio”.

Nei momenti cruciali i figli hanno bisogno di sapere che i genitori soffrono, quanto loro e forse di più, anche se cercano di smussare i conflitti, controllare gli eccessi, nascondere gli inevitabili cedimenti allo sconforto e alla disperazione. Se padre e madre ammettono di soffrire, i figli si sentono autorizzati a fare altrettanto, altrimenti si sentono costretti a imitare i loro comportamenti edulcorati, ritenendoli più appropriati.

Solo nella sintonia delle emozioni, positive e negative, i “non adulti” si sentono riconosciuti e compresi, mentre un cuore di pietra li trasforma in pedine da spostare a piacimento sulle scacchiere della vita.

Non dimentichiamo che nello svolgimento della crisi familiare, nel modo con cui se ne rendono partecipi i figli, è in gioco la loro crescita e ne va della loro felicità.

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