Le separazioni, abbiamo visto, fanno emergere antichi copioni; paradossalmente sono proprio le differenti modalità con cui si reagisce alla perdita del benessere, il modo in cui si accettano o si respingono gli ex partner che possono farci riconoscere parti di noi che non conoscevamo, in quanto non avevano mai avuto modo di manifestarsi.
Le storie d’amore, quindi, hanno il grande merito e il pericoloso potere di permetterci di costruire intense relazioni con gli altri facendo affiorare parti di noi rimosse e trascurate, ma anche di sviluppare potenzialità che altrimenti non sapremmo neppure di avere. Adottando l’ottica intersoggettiva diventa meno arduo restare o divenire buoni genitori dopo la separazione.
Quando si tende ad utilizzare il pensiero duale, di solito si biasima l’altro e si spendono immense energie nel vano tentativo di mutarlo da un lato, e di ferirlo dall’altro. Uomini e donne che hanno smesso di amarsi conoscono il partner abbastanza bene per sapere dove colpire per fare più male. Così alimentano guerre che logorano e rendono infelici in particolare modo i figli. Il desiderio di fare male può essere consapevole o inconscio e non prende sempre di mira il partner, ma spesso proprio i figli per colpire indirettamente il coniuge.
Quindi se i partner separati riescono a spostarsi da una posizione dualistica in cui biasimano l’altro a una in cui riconoscono e promuovono gli aspetti positivi del coniuge, questi riesce spesso a cambiare divenendo un genitore migliore.
Purtroppo questo cambiamento non si presenta facile. Per secoli abbiamo operato in un’ottica di pensiero duale attribuendo ai maschi la politica e l’economia, la sfera pubblica in generale, e relegando le donne alla gestione del privato, la casa, le relazioni affettive, l’educazione dei figli. Vivendo in mondi distinti, donne e uomini hanno sviluppato competenze, qualità e difetti differenziati e quindi logiche dominanti antagonistiche. Negli ultimi decenni molti di noi sono riusciti a curarsi le ferite inferte da una educazione sessista riappropriandosi di qualità e competenze prima attribuite solo all’altro genere. Tuttavia permangono dentro ognuno di noi particelle più o meno grandi delle antiche dicotomie, che creano vecchi e nuovi problemi tra i genitori separati e nuovi partner, che vacillano tra il vecchio e il nuovo senza modelli a cui rifarsi.
Per secoli la femminilità è stata legata al potere di piacere, di sedurre, di farsi amare e diventare madre. Il bisogno di essere amata da un uomo per confermare la propria identità predispone molte donne alla dipendenza, alla ricerca di qualcuno che le faccia sentire desiderate.
Al contrario, la mascolinità porta gli uomini a perseguire i piaceri del potere, dunque a privilegiare il lavoro o comunque il perseguimento di obiettivi che valorizzino la loro indipendenza, la loro autonomia e libertà, e dunque a rifuggire dai legami affettivi intimi tanto ambiti dalle donne.
Gli uomini e le donne crescono spesso sognando sesso e amore, lavoro e potere in modo diverso e talvolta si deludono a vicenda, come ho detto precedentemente, ci si illude che l’altro possa essere la soluzione finale e “per sempre” a tutti gli affanni e quando questo non succede la delusione arriva bruciante e l’amore si smarrisce ….
“Le nostre ‘relazioni’ d’affetto erano generalmente durature: promettevamo di amarci reciprocamente per sempre. Oggi però queste relazioni non funzionano più: finiscono, non sembrano più quello che erano una volta, quello che pensavamo dovessero essere, ci spezzano il cuore e si frantumano. La metà dei nostri matrimoni si conclude con il divorzio, e chissà quanti altri amori di prova, di pratica e ‘part-time’ naufragano sugli scogli. Nessuno di noi può dire di essere passato indenne attraverso il tunnel dell’amore e all’inizio di questo nuovo millennio la nostra identità di amanti muore e allo stesso tempo diventa adulta….” (D. R. Kingma, Il futuro dell’amore,).
Da tutto questo dolore può tuttavia nascere qualcosa di buono, come dice la Kingma, si può diventare “adulti” consapevoli, riprendersi ciascuno le proprie proiezioni riconoscendo l’altro per quello che è.
“ …Come il respiro, come il muoversi delle maree e delle stagioni, anche le nostre relazioni cambiano e si trasformano. Proprio come inspiriamo ed espiriamo, le nostre relazioni intime hanno un'energia in entrata e un'energia in uscita: l'essenza stessa di ogni rapporto è il movimento….” (D.R. Kingma, Il futuro dell'amore)
La relazione si trasforma, si arricchisce diventando opportunità di crescita non solo individuale ma anche “familiare”. Famiglie separate di fatto ma unite nel perseguire il benessere dei figli, genitori liberati dai conflitti che si ri-trovano insieme.
E allora rinasce il senso, i vari elementi che compongono la vita di questi bambini trovano nuove e più ricche collocazioni; non ci si sente più soli in un universo di adulti ostili, bensì parte di un sistema che, pur avendo sovvertito le sue modalità di gestione, è una base sicura dove poter crescere.
Papà e Mamma non stanno più insieme ma paradossalmente sono più presenti, cambia la qualità del rapporto e il momento che si passa in compagnia dell’uno e dell’altro è tutto per il bambino.
Lasciati alle spalle i vecchi rancori, si vive il presente provando piacere insieme nella crescita dei propri figli, l’orizzonte si allarga e il futuro lascia spazio ad una nuova e più matura capacità di amare.
“ …C’è un mistero dentro l’uomo, dentro la sua grandezza e soprattutto dentro la sua miseria. Un senso del limite che riaffiora anche da comportamenti che sembrerebbe impossibile vedere applicati poiché sono solo distruttivi, distruttivi anche per colui che li attiva e che distrugge…
Basterebbe, insomma, poco per vivere con il sorriso sulle labbra invece che con un ghigno che vuole spaventare chi si avvicina troppo a noi e così invitarlo a non fermarsi….
La famiglia da luogo dei sentimenti si trasforma invece nello spazio della lotta e del rancore…..
Là dove c’è dolore riesco a vedere la possibilità di sostituirlo con la gioia che certo non è la felicità, intesa come piacere o come ubriachezza dei sensi, ma il vissuto di chi non dimentica che attorno c’è chi ha bisogno e spera in te, chi ha voglia di condividere la tua serenità. …” (Vittorino Andreoli – Alfabeto delle relazioni)
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